Attrezzi da giardino

La catena arrugginita della bici guaisce, come un cane ferito, ad ogni pedalata. Come se non bastasse, rischia continuamente di cadere e devo stare attenta a ogni curva, a ogni frenata, a ogni disconnessione dell’asfalto.

Sbuco fuori dalla curva e sono nel pieno del centro abitato. Il pick-up di Terence Gray blocca metà carreggiata, come in una specie di parcheggio di fortuna. La portiera è aperta.

Terence è sceso a prestare soccorso a una donna sulla trentina caduta a terra, con i capelli scarmigliati, un’espressione di dolore sul volto e le mani ad accarezzare il cuoio capelluto. Ha delle ciocche di capelli incastrati tra le dita, come se qualcuno glieli avesse strappati.

Terry non sta guardando la donna, però. È accovacciato lì per terra – vicino a lei, sì – ma sta fissando la figura minacciosa di un uomo dall’altra parte del pick-up. Il vicesceriffo è spaventato: posso percepirlo. La sua mano tremante si allunga verso la fondina del revolver d’ordinanza: tenta di sbottonarla per prenderlo.

C’è qualcosa che non va. L’uomo misterioso incombe sulla scena: i capelli sporchi a coprirgli il volto, dal quale sembrano provenire ringhi di rabbia ferina; le mani lungo i fianchi con le dita allargate, quasi a scimmiottare degli artigli. Vuole avvicinarsi: lo sento. Eppure, non ci riesce: è bloccato come da un campo invisibile.

Una sensazione mi punge dietro la nuca e io trovo dentro di me la forza necessaria per aprire gli occhi. Non dico letteralmente; dico per guardare il mondo con la “Seconda Vista”. È così che la chiamano alcuni: la capacità di discernere i mostri. Un attimo prima, è tutto a posto; un attimo dopo, i lupi in mezzo al gregge calano la maschera, e noi possiamo vederli per quello che sono.

E, anche questa volta, non mi sbagliavo. Ora, l’uomo appare come un cadavere in putrefazione, ai miei occhi. Non è la prima volta che vedo uno di questi “cosi”. So quello che devo fare! Rapida, prendo la sacca sulle mie spalle e frugo per afferrare il machete da giardino, lo estraggo e corro verso il cadavere che cammina.

Adesso ho la sua attenzione. Mentre Terry litiga ancora con la fondina della pistola, io calo un fendente verso la testa della cosa morta: sento una sensazione di formicolio, una scossa che percorre il mio braccio. La lama del machete viene percorsa da un’energia che rende la sua anima incandescente, che fa bruciare il metallo con fiamme prorompenti.

La creatura è rapidissima: si abbassa, schivando il mio colpo. Si vede messa a malpartito: Terry ha preso la pistola e gliela sta puntando. L’uomo si volta, corre via: è troppo veloce! Non riesco a stargli dietro e scompare in lontananza, sfruttando la copertura della foresta.

Mi giro verso Terry, vagamente scocciata: «Perché cazzo non gli hai sparato?»

«H-ho la p-pistola scarica» balbetta. «Qui non siamo a Los Angeles» dice, quasi a giustificarsi.

Il mio machete cade a terra, completamente consumato da quel fuoco interiore. Persino il manico è ridotto a un moncherino inservibile.

Terry mi guarda tra lo stupito, l’incredulo e lo spaventato.

«È rimasto qualche ferramenta in città?» gli chiedo.

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