De terra renascimur
De terra venimus, in terram redimus, de terra renascimur… De terra venimus, in terram redimus, de terra renascimur…
È notte fonda. Sono fuori dalla cosiddetta Chiesa della Resurrezione di Black Mountain, ma quella che vedo è solo una vecchia chiesa evangelica di legno, con le assi fatiscenti, in mezzo ai boschi e all’erba alta.
Però, i miei occhi, e quelli di Terry e di Harriet, sono grossi e spalancati. Hanno paura. Nelle nostre orecchie, riecheggia il suono di quelle che sembrano mille voci, quasi come se prorompessero dal cuore della terra.
De terra venimus, in terram redimus, de terra renascimur… De terra venimus, in terram redimus, de terra renascimur…
«Che cazzo stanno dicendo?» rompo il silenzio.
«Dalla terra veniamo, alla terra ritorniamo, dalla terra rinasciamo» dice Harriet.
Io e Terry siamo sgomenti. «E tu come lo sai?» dice lui.
«La mia alma mater è stata la Duke University. Antichità classiche» dice Harriet, con voce orgogliosa.
“Laureata in Antichità classiche alla Duke University e lavora come cameriera nel diner di Black Mountain, stato di Washington” penso. Il sogno americano fa schifo.
«Non mi piace per niente» dico. «Facciamo così: adesso provo ad avvicinarmi per vedere chi sono».
Annuiscono. Io lascio l’erba alta, nella quale eravamo accovacciati, e vado verso la struttura di legno. Procedo con fare furtivo fino alle finestre sporche.
Dentro l’edificio, ci sono alcune decine di persone. Hanno addosso delle tuniche di color rosso scarlatto. La struttura è illuminata da una serie di lanterne a olio: alcune sono appoggiate per terra, altre sugli scheletri degli arredamenti rimasti, altre ancora sono portate a mano. Sfortunatamente sono tutti incappucciati, ma ripetono sempre la stessa identica litania:
De terra venimus, in terram redimus, de terra renascimur… De terra venimus, in terram redimus, de terra renascimur…
Le parole in quella lingua antica e inaccessibile rimbombano nella mia testa come un martello pneumatico. Quasi per istinto, attivo la mia seconda vista per difendermi dal male che stavo sentendo alle tempie.
Ora le cose vanno un po’ meglio. Persino i dettagli sembrano più nitidi, nonostante il buio. Da sotto il cappuccio di una delle figure, riconosco le fattezze cadaveriche dello sceriffo Talia Hester. Nulla di nuovo.
Ma non è questo che mi spaventa. No, perché il volto della figura apicale di questa congrega, l’officiante di questo oscuro rito, mi si svela. Sono le sembianze mortifere del sindaco, Efrain Kemp. Sotto il suo cappuccio, risalta un ghigno maligno che sembra essere rivolto proprio a me.
Arretro senza volere. Le mie scarpe incespicano sul pavimento sopraelevato di assi. Si ode uno scricchiolio lamentoso.
La cerimonia si interrompe. «Cos’è stato?!» esclama qualcuno dall’interno.
Anche Terry e Harriet se ne sono accorti. Infatti, si sono alzati e mi fanno segno di andare verso di loro. Faccio prima che posso. Ci voltiamo per scappare verso la foresta ma, all’improvviso, una figura incappucciata di scarlatto ci si para innanzi.
Sono già pronta a farle del male, ma dalla sua bocca insondabile prorompe un: «Se non volete morire, seguitemi».
Senza fiatare, non sappiamo neanche noi perché, la seguiamo nel fitto del bosco.
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